“Una nave è al sicura nel porto ma che non è per questo che le navi sono fatte”
(William G.T. Shedd)
Negli ultimi 20 anni c’è stato un profondo cambiamento della cultura giovanile: c’è un fenomeno di normalizzazione e di consumo ricreazionale, ovvero nel tempo libero, delle sostanze, che a volte non interferisce, o almeno non a breve termine, con gli altri contesti e gli altri ruoli quotidiani. La rappresentazione del consumo di cannabis, la più usata, è di assoluta normalità: risulta più strano non consumare perché comporta un senso di appartenenza e un fenomeno di induzione.
La prospettiva della cultura giovanile spesso non viene considerata nei dibattiti televisivi tra esperti e nei discorsi politici. In questo conversare emerge la frustrazione del non sentirsi ascoltare, di qualcosa che i politici dicono senza aver vissuto: il divertimento, l’eccitazione, il piacere e il rischio. Emerge la discrepanza tra la nozione di rischio dell’esperto e della persona comune, quindi una definizione epidemiologica e una di tipo sociale e culturale.
Considerare solo la prospettiva epidemiologica significa non considerare che anche i giovani possano avere la loro opinione.
Considerare i giovani come male informati è una semplificazione della ragione per la quale usano sostanze. Alcune informazioni scientifiche non sono percepite come le uniche informazioni sicure ma queste si ricercano anche da altre fonti alternative. Infatti, in molte ricerche emerge un dato importante: i giovani investono molto per informarsi sulle conseguenze del consumo di sostanze tramite internet o cercando di carpire delle informazioni da amici. Si spende tempo anche per comprendere con cosa queste sostanze vengono tagliate, e quindi cosa veramente si assume. Non c’è un rifiuto verso i messaggi preventivi ma nonostante la consapevolezza di effetti negativi non c’è una diminuzione dei consumi. Al contrario di ciò che si possa pensare esiste, quindi, una diffusa consapevolezza degli effetti nello spirito della riduzione del danno.
I giovani tentano di far convivere la dimensione del rischio con quella del piacere.
Il rischio non viene percepito in termini assoluti ma paragonando l’uso di varie sostanze o confrontando il rischio del consumo di sostanze con altri eventi quotidiani considerati pericolosi; in particolare i ragazzi non accettano la gravità del rischio ma si mettono in una prospettiva di contrattazione.
In aggiunta al piacere e al rischio si individuano altri benefici: ad esempio stringere legami, acquisire fiducia in sé stessi, essere consapevoli di qualcosa di nuovo, ecc. La gestione del rischio passa tra la concezione naturale e quella sociale: vengono minimizzati i rischi e si aumenta il piacere che si ha nel contesto e nei significati sociali dell’utilizzo. Perciò anche i rischi dovrebbero essere letti nei contesti in cui vengono messi in atto. Il significato di una sostanza e del rischio è collocato socialmente, è legato a decisioni che si collocano nel contesto sociale. Da qui l’importanza dei legami amicali. Si sviluppano strategie e pratiche sociali legate al consumo, ad esempio c’è un’approfondita conoscenza rispetto alle sostanze, ai luoghi e alle sostanze migliori in cui assumere. Un altro aspetto è quello dell’amicizia e della fiducia, infatti è molto importante usare le sostanze con gli amici: il controllo del rischio avviene attraverso lo stare assieme, soprattutto se si assume per la prima volta.
A volte la dimensione del rischio prevale su quella del piacere, alcuni infatti dopo un po’ di tempo smettono. La presenza di esperienze spiacevoli, la riduzione del piacere indotto dalla sostanza o la maturazione individuale possono essere fattori che portano a cessare il consumo. Sembra che i fattori sociali assumano un doppio ruolo: da una parte contribuiscono all’aumento dei comportamenti a rischio influenzando la sperimentazione di nuove esperienze, dall’altra possono anche indurre una riduzione del rischio per l’emergere di altri desideri legati all’attuazione di Sé (es. andar bene a scuola).
Gli interventi di prevenzione devono quindi focalizzarsi su alcuni punti chiave:
1) I giovani non vanno considerati come adulti incompleti, sono individui a pieno titolo con la loro identità.
2) Un’attività di prevenzione non può prescindere da una ricerca sui significati.
3) Ci sono diverse culture giovanili, per cui ogni intervento deve essere misurato.
4) Gli operatori devono sempre confrontarsi con il tema del piacere, è il piacere la smisurata tensione presente nell’uso della sostanza. La stessa cosa succede con gli sport estremi. Per molti giovani inoltre è un’attività sociale.
5) I messaggi che non tengono conto dei significati culturali non raggiungono il bersaglio.
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