“Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione”
(Platone)
Peter Slade, autore del libro “Child Drama”(1954), scritto in seguito ad un’osservazione diretta del gioco drammatico infantile, afferma che non è possibile distinguere una dimensione fantastica da una dimensione reale nel gioco, ma che esse si fondono insieme. Esistono però due diverse modalità in cui questo si può manifestare: il Personal Play in cui il mezzo utilizzato è il corpo del bambino stesso, e il Projected Play in cui il medium è costituito da un oggetto. Il far finta di, come forma di gioco, permette di esercitare ordine e creatività di fronte alle esperienze del bambino ed è quindi di fondamentale importanza nello sviluppo evolutivo. Grainger definisce il “come se” “una forma di realtà speciale e protetta in cui è possibile sperimentare”.
Spesso il bambino ha bisogno di luoghi appartati per sperimentare il teatro drammatico, luoghi che proprio per la loro separatezza permettono di costruire una nuova dimensione spazio-temporale, in cui il “come se” permette di rappresentare anni in un tempo ristretto. La reversibilità della realtà drammatica (ovvero la possibilità di rientrare nella realtà una volta che la storia si è conclusa) è anche indice della capacità del bambino di distinguere la realtà dalla fantasia.
Il teatro, i riti e le feste possono essere considerati come estensioni della realtà drammatica costruita dai bambini, e come questa sono esperienze che possono portare ad un cambiamento significativo dell’individuo. Courtney individua altre funzioni del gioco drammatico: esso permette di sviluppare un senso d’identità, esplorare problemi ed individuare soluzioni, sperimentare nuovi ruoli, esprimere nuove parti di sé, esprimere emozioni, risolvere conflitti interni, raggiungere un senso di padronanza e controllo. Quindi ripercorrere questa modalità di gioco anche negli adulti consente di migliorare la qualità di vita.
Nell’ambito della formazione l’utilizzo di giochi è di fondamentale importanza perché permette di intervenire sulle dimensioni socio-affettive del lavoro, sui processi gruppali, sui rapporti interni all’organizzazione. Non si può parlare soltanto di un insieme di tecniche senza considerare il contesto e il momento storico in cui devono essere applicate. Il cambiamento nel gruppo può avvenire anche grazie ad una relazione che si stabilisce con il formatore e deve tendere non allo sviluppo delle competenze individuali ma allo sviluppo dei partecipanti inteso come senso di appartenenza e capacità creativa. Il gioco nella formazione deve andare al di là di un mero processo ludico e trasformarsi in intervento tenendo conto di alcune peculiarità: l’importanza della finalizzazione operativa e la creazione di una alleanza tra conduttori e utenti per la creazione di uno spazio relazionale.
Lo spazio del gioco diventa il luogo in cui le persone possono narrare di sé e da cui può scaturire anche un testo. Si possono quindi individuare due registri narrativi: il primo relativo agli eventi raccontati, alle storie utilizzate come fonti per generare significati; il secondo è quello che si crea nel “qui e ora” tra i partecipanti. Il gioco come narrazione attribuisce un peso particolare alle parole e al linguaggio per il fatto che esso restituisce qualcosa di autentico a chi lo utilizza ed a chi lo raccoglie. Da qui è possibile partire per costruire uno spazio dell’azione in cui dar voce a nuove interpretazioni della scena narrata in precedenza, stimolando anche la discussione tra i partecipanti. Inoltre lo spazio del gioco è anche uno spazio di comunicazione in cui si può discutere e scambiarsi esperienze, ascoltare e favorire la co-costruzione di significati.
Il gioco spesso si avvale di metafore per far partire la narrazione e può essere utile per evidenziare stati d’animo o emozioni spesso celate nella narrazione di gruppo.
Gli esercizi drammatici consentono di agire e di pensare allo stesso tempo, inoltre i partecipanti possono vivere la scena e contemporaneamente osservarla dall’esterno.
Quindi in questa prospettiva l’utilizzo di giochi teatrali e di improvvisazione può permettere la lettura degli eventi da punti di vista diversi in cui vengono esplicitati vari modi di vivere e di interpretare gli eventi; questo accade perché il gioco permette di ripulirsi dagli stereotipi e di indossare nuovi abiti e nuovi ruoli, aprendo nuove possibilità di racconto.
Bibliografia
-Montesarchio G. Marzella E. “99 Giochi per la scuola, il teareo..l’azienda…il gruppo”, Franco Angeli, 2004.
-Pitruzzella S. “Manuale di Teatro Creativo: 200 tecniche drammatiche da utilizzare in terapia, educazione e teatro sociale”, Franco Angeli, 2004.
-Rispoli L. “Esperienze di Base e Sviluppo del Sé- L’evolutiva nella Psicoterapia Funzionale”, Franco Angeli, 2004
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